
Le tecnologie sono un pharmakon
Usiamole per una terapeutica sociale come ci ha insegnato Bertram Stiegler
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 15 novembre 2020: un omaggio firmato da Alex Giordano per il filosofo “digitale” Bernard Stiegler recentemente scomparso.
“Abbiamo bisogno di molto lavoro di invenzione per ripensare radicalmente il sapere, i modelli teorici dominanti e l’interpretazione della realtà”.
Sono le ultime parole che mi disse il grande filosofo francese Bernard Stiegler che purtroppo qualche mese fa ci ha lasciati. Ho avuto l’onore di conoscere Stiegler quando venne in Italia in occasione dell’uscita del libro Platone Digitale, che Francesco Vitale, professore dell’Università di Salerno e grande studioso di Stiegler in Italia, ha curato con Paolo Vignola per le Edizioni Mimesis. Vitale, in quella circostanza, pensò di fargli conoscere l’esperienza del progetto Rural Hub (il primo incubatore per la creazione di startup rurali, papà di RuralHack, il progetto di ricerca-azione per l’innovazione sociale e digitale nelle comunità rurali e nell’agrifood che coordino) e passammo ore bellissime all’ombra di un grande ciliegio a Calvanico, nel cuore del Parco dei Monti Picentini.
“Io credo molto all’avvenire degli spazi rurali”, ci disse, e raccontò di aver fondato una scuola di filosofia proprio in un piccolo villaggio di campagna, convinto della necessità di recuperare e reinventare i grandi spazi rurali in una nuova urbanità rurale. “E le tecnologie digitali -disse- aprono agli spazi rurali possibilità enormi, sia per la produzione agricola che per il ritorno a forme di abitare gradevoli”.
Fu amore a prima vista, date le intense affinità intellettuali e progettuali.
Il suo pensiero non è facile da condensare nelle poche battute di un articolo. È un pensiero denso, popolato da moltitudini di rizomi radicati in tante discipline diverse. È un pensiero articolato sulla costruzione di neologismi che non sono mai un divertissement linguistico, ma che hanno tutti un significato preciso che va spiegato nei dettagli e che porta nell’analisi della contemporaneità tutta la storia dell’umanità. Non è un necrologio quello che serve ma credo sia per me doveroso condividere, a partire dagli scambi che abbiamo avuto in questi anni, alcuni elementi che ritengo focali del suo pensiero e che continueranno ad essere vivi nelle pratiche progettuali che portiamo avanti.
I suoi studi infatti partono proprio dall’esigenza di “comprendere le difficoltà della nostra epoca da un punto di vista “organologico”; significa osservare noi esseri umani non solo come organismi viventi ma come esseri eso-somatizzati cioè aumentati dall’artificialità di ciò di cui ci serviamo: i nostri occhiali, i device elettronici ma anche il linguaggio, i libri, ecc.
Dopo aver passato molto tempo a studiare gli archeologi e i paleontologi, Stiegler ha compreso che l’eso-somatizzazione radicalizza la condizione sistemica dell’essere umano ed evolve per periodi: per esempio l’antropocene (l’attuale era geologica che vede l’impatto dell’essere umano avere grandi ripercussioni su tutto l’ecosistema) è cominciata 250 anni con l’industrializzazione. Ed è proprio l’industrializzazione, insieme allo sviluppo della tecnologia, che secondo Stiegler ha prodotto una progressiva riduzione dei saperi del genere umano perché abbiamo affidato questi nostri saperi alle macchine e agli strumenti. Per combattere questo processo inesorabile non è necessario opporsi alla tecnologia (anche perché non è possibile farlo) serve, invece, sviluppare un altro rapporto con l’industria e la tecnologia, facendo diventare media, macchine, e dispositivi, gli strumenti del saper-fare e del sapere industriale.
Stigler parla della necessità di un web deliberativo, fattore di intelligenza collettiva e non di dipendenza e di manipolazioni di ogni tipo.
Questo è un messaggio che mi risuona forte e che è per me archetipo del nostro modello mediterraneo che immagina di addomesticare le tecnologie per favorire la ricomposizione della frammentazione attuale, così da ri-definire visioni di possibili futuri, favorendo l’apprendimento individuale e quello collettivo, all’interno di comunità capaci di generare apprendimento.
È importantissimo, dice Stigler, produrre teorie che sappiano inventare nuovi modelli (economici e di ricostruzione dello spazio fisico/sociale). Per questo, come Direttore dell’Istituto di Ricerca e Innovazione del Centro Pompidou ha sviluppato i Digital Studies, programmi di ricerca teorica universitaria, accademica, scientifica, filosofica, artistica, non focalizzati sull’uso delle tecnologie ma basati sull’attenzione nei confronti di ciò che può avvenire grazie alla digitalizzazione, senza dare per scontata nessuna forma di futuro possibile o desiderabile.
La sua visione è chiara: oggi tutti sanno che questi dispositivi tecnologici, utilizzati secondo il modello della Silicon Valley, possono distruggere la società e l’economia. Ma attingendo a una metafora già usata da Platone e da Derrida con riferimento alla scrittura, non esita a definire “pharmakon” le tecnologie che sono insieme il veleno e la cura possibile.
Per questo bisogna inventare una terapeutica cioè dei modelli che facciano del pharmakon una nuova possibilità di cura.
Effettivamente in quelle ore di grazia il sole si stava prendendo cura di noi e lui esclamò beffardo:
”Ecco Alex il tuo compito oggi è quello di creare una nuova farmacologia all’interno del dibattito sulla trasformazione digitale”.
Lo guardai sorridendo e lui capendo i miei timori fece arrivare subito sotto le frasche di quel frondoso ciliegio Simondon, Husserl, Derrida, Deleuze, Guattari e tanti tanti altri amici e tutti insieme mi convinsero che per superare il disincanto del mondo, effetto -diceva Marx- del predominio delle logiche di efficienza e produttività, si rende necessario “un nuovo progetto industriale che bisogna inventare e che miri a intensificare la singolarità in quanto incalcolabile, socializzando dati che non possano essere ridotti a oggetti di un mero calcolo economico”.
Chissà che non sia proprio questa una cura per andare oltre le pandemie. E mentre penso a questo mi viene in mente Next generation EU (detto RecoveryFound) e credo che possa essere un’occasione per orientarsi all’invenzione della terapeutica sociale suggerita da Stiegler per sviluppare, attraverso l’innovazione e le tecnologie, quelle cure per il mondo che si chiamano saperi. Ma affinchè non sia pericolosamente, ancora una volta, solo una questione di “mero calcolo economico” occorre dunque reincantare il mondo. Non è facile, né scontato, ma per riuscirci abbiamo bisogno di più Platone e meno Aristotele.
Grazie Bertram.