Il digitale non sia vittima del suo racconto
Si apre un nuovo anno carico di aspettative, speranze, ma anche disorientamento e mancanza pressoché totale di programmazione. Tante regole sono cambiate, nuove ne stiamo scrivendo, alcune non sembrano più così importanti come invece sembravano prima. Se fino a qualche mese fa il medio/lungo periodo lo calcolavamo in pochissimi anni, adesso il nostro sguardo difficilmente riesce a superare la soglia dei 12 mesi. Molti navigano a vista e non è possibile fargliene un torto: in questo marasma è difficile trovare dei punti di riferimento ai quali aggrapparsi per partire (o ripartire) con slancio e visione.
Il digitale è il crocevia di molti di questi ragionamenti, spesso farciti di opportunità e slanci di entusiasmo, altre volte tendenti a focalizzare l’attenzione solo sugli aspetti più controversi e negativi.
Negli ultimi tempi siamo stati invasi da discussioni sulle conseguenze dello Smart Working sulla produttività della Pubblica Amministrazione, ma anche sui cambiamenti generati dai nuovi stili di vita sull’organizzazione dell nostre città con la fuga dal centro verso le periferie, dal grande al piccolo, da nord verso sud del paese.
Altro tema divisivo e dirompente è stata la scelta della Didattica a Distanza (Dad) che ha coinvolto, e stravolto, la vita di milioni di insegnanti, ragazzi e le loro rispettive famiglie.
Così come la nuova fruzione “virtuale” della cultura successiva alla chiusura dei musei e delle biblioteche che ha amplificato l’utilizzo delle piattaforme digitali, ma ha anche acuito l’enorme crisi del settore turistico, fieristico e dei viaggi in generale.
Non si fa quindi fatica a comprendere del perché in molti parlano di rivoluzione digitale.
Ma cosa rende una rivoluzione digitale una rivoluzione?
Fiumi di inchiostro (forse è meglio dire byte) sono stati utilizzati per indagare le dinamiche in corso, webinar, libri, trasmissioni televisive e radiofoniche, sono nate nuove discipline accademiche che a loro volto hanno creato filoni di indagine molto interessanti e utilissimi per comprendere al meglio le complessità dell’era presente.
Come in tutte le cose belle però esiste anche l’altra faccia della medaglia, the dark side of the moon: ossia l’eccesso di teoricità che impedisce a questo flusso narrativo di trasformarsi in azioni concrete, efficaci, realmente capaci di incidere sulla nostra vita quotidiana.
Parliamoci chiaramente: dopo lo slancio verso il digitale del 2020 il rischio è di tornare al lavoro di prima, alla scuola di prima, alla Pubblica Amministrazione di prima, senza aver imparato nulla o troppo poco dalla lezione che stiamo vivendo.
Come è possibile leggere chiaramente nel nostro Manifesto noi crediamo fermamente nel digitale come leva di sviluppo economico, sociale e culturale e ci adoperiamo per promuovere la cultura digitale sviluppandone un uso consapevole e appropriato.
Tuttavia per raggiungere questo ambizioso obiettivo sono necessarie e fondamentali due condizioni: evitare che il digitale sia vittima del proprio racconto e coinvolgere persone, competenze, energie per trovare le soluzioni migliori ai problemi complessi che stiamo vivendo.
Parlare di digitale è fondamentale per creare un ambiente favorevole al cambiamento e la giusta consapevolezza che ci permette di guardare con lucidità le sfide che abbiamo davanti, ma dobbiamo stare attenti a non cadere nell’autoreferenzialità, nello sterile racconto di quanto sia bella l’Intelligenza Artificiale o del perché sia necessario aprire uno store online. Tale approccio semplicistico genera anche l’effetto esattamente contrario, producendo il racconto di quanto sia nefasto il diffondersi dell’Intelligenza Artificiale e alla strage dei negozi chiusi a causa dell’incremento delle vendite online.
Parlare per parlare fa comodo solo ai soloni del digitale, ai singoli che sfruttano le fragilità del sistema per emergere e avere visibilità.
Parlare non basta, bisogna Fare.
Dopo le discussioni, la comprensione dei fenomeni, le analisi approfondite è necessario porsi degli obiettivi e lavorare per raggiungerli. Per questo motivo vediamo con molto favore a campagne come #DatiBeneComune nata per chiedere che i dati pubblici, al momento disaggregati, vengano invece continuamente aggiornati, ben documentati e facilmente accessibili a ricercatori, decisori, media e cittadini.
Attività simili stiamo organizzando anche all’interno dei nostri Gruppi di Lavoro (dateci uno sguardo e partecipate) dedicati per il momento a tre temi che riteniamo fondamentali: il futuro del lavoro influenza dal digitale, come il mondo della scuola sta affrontando la transizione digitale, perché il mondo della cultura e del turismo possono uscire alla grande dalla crisi in corso.
Per fare tutto questo è necessario aggregare competenze, energie e volontà.
Dopo pochi mesi dalla costituzione di Fare Digitale già siamo in tanti (a voi il grannde ringraziamento da parte mia e dell’intero Board), ma per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati dobbiamo essere ancora di più e non fermarci alle chiacchiere, ma puntare dritto al sodo.
L’anno che sta iniziando fra un anno passerà (cit.) e noi non vogliamo perdere l’occasione di utilizzare ogni singolo giorno, ogni goccia di entusiasmo per contribuire alla costruzione di una società innovativa, sostenibile, capace di offrire un futuro gratificante alle nuove generazioni.
Di seguito c’è il form per iscriversi a Fare Digitale: basta compilarlo e pagare la quota sociale di €10 per essere dei nostri!