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Il digitale ha cambiato tutto nell’industria dell’informazione

L’informazione giornalistica è uno dei settori industriali in cui l’avvento del digitale ha provocato più effetti. In sostanza è stato, ed è ancora, una di quelle innovazioni capaci di produrre distruzione creativa, cioè di cambiare il paradigma di fondo di tutti i fattori, spingendo gli operatori a cambiare o morire. In questa trasformazione-innovazione per la sopravvivenza si è manifestato il vero punto debole del settore in Italia: la perdita di credibilità.

Nel corso di una sola generazione è cambiato tutto:

si sono moltiplicate le fonti dell’informazione; si sono moltiplicati gli strumenti per scrivere; si sono moltiplicati gli strumenti per produrre immagini; sono cambiati gli strumenti per comporre il prodotto, per stamparlo (laddove la carta è rimasto uno dei supporti), per trasmetterlo. E come accade sempre, il cambiamento del modo di produrre ha provocato anche un cambiamento della forma e del contenuto del prodotto.

Sono stato testimone di questa evoluzione prima lenta e poi, via via, tumultuosa, velocissima, travolgente.

Sono diventato giornalista praticante nel 1974 e professionista nel 1976. In quegli anni, per leggere un documento bisognava averlo fisicamente nelle mani: i bilanci delle aziende, i comunicati sindacali, le sentenze, i dati statistici, gli accordi internazionali, le segnalazioni di polizia…. li dovevi andare a prendere o te li dovevi far mandare. Come dire: tempi lunghi e ostacoli senza limiti. C’erano istituti e imprese che raccoglievano dati e documenti come lavoro principale. In ogni giornale c’erano biblioteche, raccolte, depositi di ritagli e giornalisti esperti per curare la documentazione di base.
Oggi, lanci il browser, scrivi qualche parola e hai di fronte, in tempo reale, una molteplicità di informazioni. Non solo. Allora bastava fare resistenza perché un giornale non venisse in possesso di carte. Oggi, che la trasparenza è diventata praticamente un obbligo nel mondo digitale, se non vuoi far conoscere un’informazione non basta fare resistenza, dimenticarsi di spedire un documento: devi essere bravo a camuffarla nella massa delle cose che presenti.

Prima dovevi scrivere un testo alla macchina per scrivere (foglio principale, carta carbone, copie, ogni versione da inviare in un posto diverso: ufficio centrale, grafici, correttori, tipografia…). E, ovviamente, dovevi sapere quanto vale una riga di testo standard sul foglio in termini di tempo (radio e tv) o di spazio sulla pagina del giornale. Ma nella carta stampata spesso scrivevi quanto ti veniva, con una tecnica in base alla quale dove arrivavi arrivavi, qualsiasi fosse lo spazio disponibile in pagina, perché tanto le cose più importanti le avevi già dette in testa (le famose 5 w).

 

Oggi lo scrivi, lo componi, lo correggi e sai subito quanto spazio deve occupare, perché è cambiato in modo netto anche il metodo di impaginazione: allora i grafici disegnavano a mano ogni pagina, indicando conteggi plausibili di lunghezza degli articoli. Oggi, c’è il book di pagine preconfezionate da adottare (e riempire) nei diversi casi. Solo la prima e le pagine speciali vengono ridisegnate al computer. Nei siti di informazione puoi invece scrivere quanto vuoi, ma devi tenere presente i tempi di attenzione dei lettori sul video, quanto spazio hai in home, quali parole devi usare nello spazio in home per essere trovato più facilmente grazie ai motori di ricerca. È un modo diverso di scrivere.

Sono scomparsi interi comparti industriali e professionali, dai tipografi ai correttori, agli addetti alla documentazione.

Fino alla metà degli anni Dieci di questo secolo (praticamente ieri) molti giornalisti italiani della carta stampata, della radio, della tv, si rifiutavano di scrivere anche per l’edizione on line (ancora non c’era ovviamente la radio che si vede…) o di usare una telecamerina (ora si può fare con lo smartphone), considerando una cosa del genere una diminutio del proprio status. Oggi questa resistenza viene considerata da tutti una sciocchezza.

Infine (per non farla troppo lunga) è cambiato il mercato dell’informazione. Oggi ti alzi la mattina, senti distrattamente un radiogiornale, apri un sito o due, e grosso modo sai già l’ordine delle notizie che avresti di fronte a un tg o alla prima pagina di un giornale. A diverse persone basta e avanza questo.  E ciò significa che la concorrenza tra diversi strumenti e tra diversi prodotti sullo stesso supporto ha ridotto e reso più stretto lo spazio per ciascuno e reso la competizione più difficile.

Che cosa è rimasto uguale a prima nel mondo dell’informazione giornalistica?

Lo scopo di fondo: informare in modo professionale, possibilmente credibile. E questo è il punto centrale.

Che la carta stampata avrebbe perso spazio era chiaro a tutti fin dagli anni Novanta del secolo scorso. Non si sapeva con quale velocità, ma sull’esito finale non vi erano dubbi. Che la pubblicità si sarebbe lentamente ma progressivamente spostata verso mezzi più diffusi era altrettanto chiaro. Ma anche in questo caso non si sapeva con quale velocità né si intuiva all’inizio quanto mercato si sarebbe spostato verso altre attività (i motori di ricerca, i social…).

Perché, allora, la crisi ha preso in contropiede tutti i grandi editori, anche quelli che avevano intravisto per primi lo sviluppo possibile dell’informazione digitale?

Parlo di carta stampata, ma non solo. Oggi anche radio e Tv tradizionali stanno sentendo il morso della crisi, perché la rivoluzione digitale ha investito anche questi mezzi. Perché dunque tutta questa perdita? Perché cambiare è difficile, perché lasciare la strada sicura per una incerta è una fatica che non sempre offre risultati positivi, perché per un lungo periodo le entrate pubblicitarie e di commercializzazione di prodotti diversi dalle notizie (libri, film, dischi…) hanno continuato a produrre utili in Italia (a cavallo del Duemila si arrivava in taluni casi a incassare un terzo del bilancio annuale con la vendita di allegati). Perché non si è capita l’importanza dei social fino a quando non sono diventati, come oggi, pane quotidiano non solo per pochi affezionati compulsatori. Tanto per dire: ancora oggi con le tirature ridotte ai minimi termini dei giornali di carta, la pubblicità sulla carta porta di più di quella che viene pubblicata sui siti online dei giornali di carta. Perché l’età media degli italiani (questo per riferirsi al pubblico di quotidiani, radiogiornali e tg) è per larga parte invecchiato.

Ma soprattutto, ed ecco di nuovo il punto, il modo e la serietà di fare i giornali, considerata la possibilità di canali alternativi per informarsi, ha mostrato tutti i suoi limiti:

oggi se non sei credibile non servi, se non servi non vieni usato, o comunque vieni considerato non indispensabile.

Qui sta una delle particolarità del caso italiano. In tutto il mondo la crisi attanaglia l’informazione professionale a causa della rivoluzione digitale, ma da noi (non solo ovviamente) non si vede nemmeno un lumino in fondo al tunnel. Altrove si stanno sperimentando nuove-vecchie strade e non mancano esempi virtuosi.

Alcuni grandi quotidiani Usa, più abituati a cercare la qualità, hanno ritrovato la strada della crescita: dopo l’iniziale crisi di spiazzamento, sono riusciti a trovare un nuovo equilibrio compensando e mettendo a somma il mondo della carta con il mondo digitale, social compresi, grazie all’autorevolezza e al servizio che offrono. Due testate su tutte: Wall Street journal e New York Times.

Ma ormai non si tratta più solo di giornali tradizionali. Netflix e National Geographic (canale video), per esempio, stanno cominciando a offrire inchieste, lunghi approfondimenti a puntate di tipo giornalistico. Non si sa ancora dove arriveranno con questa scelta, né quanto influirà sulle altre iniziative. Però una cosa va segnalata. Sapete che cosa pretendono Netflix e National Geographic dagli operatori che producono questi prodotti? Appeal, qualità, storie avvincenti, ovviamente, belle immagini, insomma spettacolo, ma anche che ogni notizia sia attestata almeno da tre fonti. Da noi, per larga parte una cosa del genere è solo un sogno.

In conclusione, il digitale ha cambiato e sta ancora cambiando tutto nell’industria dell’informazione professionale, ma c’è un dato di fondo che non può intaccare:

alla lunga, se vuoi vendere notizie e ottenere uno standard di qualità, e di pubblico di qualità, che attiri pubblicità in abbondanza, cioè se vuoi avere un’impresa economicamente sostenibile, devi essere credibile.

Giornalista professionista, ha alle spalle una lunga carriera da giornalista, in particolare nel settore dell'economia, alla quale ha affiancato incarichi da membro di giunta della Federazione nazionale della stampa italiana, dell'Inpgi e del Fondo Pensione Complementare dei Giornalisti Italiani e direttore del Master di giornalismo all'università Lumsa.

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