Dalla società fordista alla società digitale
I computer sono inutili,
sanno dare solo risposte.
(Pablo Picasso)
A voler ragionare tenendo uno sguardo più ampio sulle grandi fasi storiche, si potrebbe sostenere che ci troviamo in una fase di passaggio dall’era industriale a quella digitale, dall’era fordista a quella creativa.
Una fase di passaggio che non è ancora stata completata. Per esempio la fabbrica fordista è stata plasmata essenzialmente da due forze, la necessità di ridurre i costi di trasporto e di comunicazione e la necessità di impiegare personale non specializzato. Tuttavia queste stesse logiche hanno presieduto anche alla creazione di una società essa stessa di tipo fordista: la scuola è una grande fabbrica dell’istruzione. Allo stesso modo, gli ospedali sono delle grandi fabbriche della salute dove, non a caso, ci sono i “reparti” come in fabbrica e così le città: l’immenso fenomeno dell’inurbamento che ha caratterizzato gli ultimi duecento anni, è stato mosso dal fatto che nelle città era più economico e facile comunicare e trasportare le cose e scambiarsi le informazioni.
Ora il punto è che l’innovazione tecnologica e la libertà dei commerci hanno smantellato la fabbrica fordista, dando vita a una nuova fase della produzione della ricchezza che ruota intorno alla creatività e alla conoscenza.
Ma la società che le sta intorno non è cambiata del tutto: continua a esistere una società fordista, che si muove con logiche differenti rispetto a quelle della produzione e che è pertanto a essa disfunzionale. Ciò significa che, se non si vuole che il vecchio mondo – la società fordista – uccida il nuovo mondo – l’economia digitale e creativa – è necessario costruire intorno a quest’ultima una serie di istituzioni che le siano funzionali, vale a dire una “società creativa” o, se si preferisce, una “società digitale” che si muova secondo logiche differenti rispetto a quelle della “società fordista”, “istituendo meccanismi e politiche che sciolgano le profonde tensioni generate dall’economia creativa. L’evoluzione da una semplice produzione economica creativa a una struttura sociale creativa è l’unica strada percorribile“.
Un nuovo welfare digitale
Per fare ciò è necessario prima di tutto procedere alla creazione di un nuovo Welfare che, come scrive Patrizio Bianchi, “si nutra di queste innovazioni e che diventi il nuovo terreno di coesione in grado di sostenere nuova cultura, nuova educazione, nuove risorse umane che rendano dinamico l’intero corpo sociale”.
Continuiamo, infatti, a vivere in città fordiste, a concentrarci in uffici o in fabbriche al suono di una sirena e per timbrare un cartellino come nelle fabbriche ottocentesche. Nel contempo i giovani continuano ad essere implotonati nelle classi ad ascoltare in silenzio la lezione del maestro come ai tempi di Garrone e Franti: tutti nello stesso luogo, tutti alla stessa ora. Il punto è che “siamo proiettati balisticamente nell’economia immateriale ma ci basiamo ancora su istituzioni ereditate dall’economia materiale dell’era industriale del XX secolo”.
Si tratta in altre parole di favorire un vero e proprio cambio di paradigma.
La tecnologia, la ricerca scientifica e l’innovazione possono essere la chiave per poter risolvere l’equazione prospettata poc’anzi, ma per farlo è necessario, come si diceva, un cambio di paradigma, vale a dire il passaggio da una concezione fordista, così come ora è impostata la garanzia dei diritti sociali, a una concezione post-fordista, che consiste essenzialmente nella produzione di massa di beni e servizi personalizzabili.
(Articolo estratto dal libro “Dalla società fordista alla società digitale” a cura di Nunziante Mastrolia edito da Licosia)